Sofia Oranges, classe 1995, è una delle voci più fresche e contemporanee del giornalismo sportivo italiano. Laureata in Comunicazione, Tecnologie e Culture Digitali presso “La Sapienza” di Roma, ha poi affinato la sua preparazione con un percorso in Giornalismo, Telecronaca e Radiocronaca presso la scuola Elite Football Center. Ha mosso i suoi primi passi televisivi già nel 2019 su Canale 21, come conduttrice del telegiornale “VG21” e del programma sportivo “Super Sport 21”. La sua passione per il calcio è radicata fin da piccola, eredità di un padre tifoso che le ha trasmesso il valore dell’analisi sportiva e della competenza.
Nel 2025 Sofia è approdata su Rai 2 come giornalista e volto social de “Il Processo al 90’”, condotto da figure storiche del giornalismo sportivo come Paola Ferrari e Marco Mazzocchi, e portando un approccio moderno fatto di passione, competenza e coinvolgimento della community. Al di fuori dello schermo, Sofia rappresenta una figura che coniuga la professionalità del giornalismo con la sensibilità verso un pubblico giovane: lavora per rendere lo sport accessibile, parlato in modo autentico, lontano dai cliché. Il suo impegno è quello di informare con rigore, ma anche di costruire ponti, dare voce e responsabilità a chi ascolta.
In questa intervista, Sofia ci racconta la sua visione del mondo dell’informazione — tra indipendenza, professionalità e femminilità consapevole — in un dialogo sereno e sincero sul ruolo delle donne nei media di oggi.
Sofia, oggi più che mai si parla di indipendenza femminile e pari opportunità. Cosa significa per te essere donna in un ambiente competitivo come quello dell’informazione? Hai mai percepito il genere come un limite o piuttosto come una forza?
“Essere donna nel mondo dell’informazione, per me, significa trovare ogni giorno un equilibrio tra credibilità e grazia. Non ho mai vissuto il genere come un limite, ma nemmeno come un “biglietto d’ingresso”, per scelta. È uno dei tanti elementi che compongono la mia identità, non il primo e non l’unico. Se c’è qualcosa che ho imparato è che la credibilità non nasce dal genere, ma dalla costanza, dal linguaggio che scegli, dal modo in cui rispetti questa professione. In questa professione ho sempre creduto in una cosa: la gavetta salva tutti. Ho iniziato dal basso, con le conduzioni di telegiornali, i servizi scritti al volo, le dirette improvvisate, le ore passate a studiare e a preparare ogni argomento. La credibilità non arriva perché sei donna o uomo, ma perché nel tempo hai dimostrato chi sei. Essere donna mi ha dato una sensibilità in più, questo sì. Ma la vera differenza, alla fine, la fa sempre il lavoro. E il modo in cui scegli di farlo.”
Le giornaliste sportive spesso si trovano a convivere con una doppia percezione: quella della competenza e quella dell’immagine. Come si può mantenere equilibrio tra professionalità e femminilità, senza sentirsi costrette a scegliere tra le due?
“Nel giornalismo sportivo l’immagine è stata spesso un filtro attraverso cui siamo state lette. Per anni c’è stata la sensazione di dover dimostrare qualcosa in più, quasi a giustificare la presenza.
Oggi le cose stanno cambiando e questo è un bene. Io considero la femminilità un valore, non un ostacolo. Non credo che per essere prese sul serio dobbiamo rinunciare alla nostra identità o alla nostra eleganza. Il punto è un altro: la femminilità ha senso ed è rispettata solo quando cammina accanto alla competenza. Una senza l’altra svuota il ruolo.
Per questo mi dispiace vedere ragazze molto giovani che si avvicinano a questa professione pensando che basti “l’immagine”, che basti apparire bene in video. Il giornalismo non funziona così: servono sacrificio, studio, gavetta. Bisogna conoscere ciò di cui si parla, viverlo, prepararsi, sbagliare, crescere. Perché la differenza tra una giornalista e una showgirl non è estetica: è responsabilità.
La giornalista porta con sé un compito preciso, che non può essere tradito: fare informazione in modo serio, corretto e rispettoso. E questa è una responsabilità che richiede sostanza, non solo presenza scenica. Io credo profondamente che si possa essere femminili e professionali allo stesso tempo. Ma senza la competenza, la femminilità rimane solo immagine. Con la competenza, invece, diventa una forza.”
Negli ultimi anni la comunicazione è cambiata profondamente, anche nei toni e nei linguaggi. Hai notato anche tu un passaggio dall’informazione alla spettacolarizzazione? Come si può, secondo te, continuare a fare informazione autentica in questo nuovo contesto?
“È vero, la TV e l’informazione sono cambiate moltissimo: oggi i ritmi sono più veloci, il dibattito è più acceso e spesso si sfiora la spettacolarizzazione. Ma sarebbe ingenuo pensare che questo cambiamento possa essere ignorato. La professione stessa è cambiata: oggi non basta più essere giornalisti nel senso tradizionale del termine. Ho capito presto che, se volevo essere competitiva e realmente incisiva, dovevo imparare a muovermi in entrambi i mondi: quello della TV e quello dei social. La televisione richiede rigore, presenza, controllo; i social richiedono immediatezza, linguaggi diversi, la capacità di arrivare alle persone con un tono più diretto e umano.
All’inizio non è stato semplice, perché il giornalismo che ho studiato e quello che oggi vivo non sono esattamente la stessa cosa. Mi sono dovuta evolvere, osservare, imparare. Ho capito che non potevo scegliere tra i due linguaggi, ma che dovevo integrarli: fare televisione con misura e professionalità e allo stesso tempo usare i social per raggiungere un pubblico nuovo con contenuti autentici, credibili, coerenti. Oggi mi sento parte di questa evoluzione.
Rappresento entrambi i modi di fare informazione: la solidità del giornalismo e la modernità della comunicazione digitale. Anche in televisione sto provando a portare una piccola rivoluzione: far incontrare questi due mondi. Creare un ponte tra la credibilità della TV e il linguaggio immediato del digitale, per arrivare di più al pubblico, coinvolgere, intrattenere senza mai perdere autorevolezza. Credo profondamente che la buona informazione possa esistere anche in un contesto veloce e moderno. L’importante è rimanere fedeli al proprio stile: chiari, onesti, equilibrati. Il resto è evoluzione, ed è giusto abbracciarla.”
I social sono diventati un’estensione importante del lavoro giornalistico, ma far emergere contenuti di qualità non è semplice. Qual è il tuo approccio nel gestire i tuoi canali e nel comunicare notizie o riflessioni che mantengano valore e credibilità?
“I social sono una parte fondamentale del mio lavoro, ma non sono il mio lavoro. La mia identità professionale nasce dal giornalismo, dal metodo, dal rigore. I social sono un’estensione, un luogo dove posso raccontare con un linguaggio diverso, più diretto e personale, ma sempre coerente con ciò che rappresento. E qui entra in gioco un aspetto importante: io non sono soltanto una giornalista, sono anche una content creator. Costruisco autonomamente la mia linea editoriale, i miei contenuti, il mio modo di comunicare. E ho fatto una scelta chiara: non inseguire la viralità a tutti i costi. Perché diciamolo: per andare virali sui social basterebbe scegliere la via dell’eccesso. Il trash, le provocazioni, il fuori contesto. È una strada più breve, più facile, più immediata. Ma non mi avrebbe rappresentata e soprattutto, non avrebbe rispettato la mia credibilità. Io ho deciso di non piegarmi a ciò che il social “premia”.
Perché molto spesso, per essere virali, si rinuncia a qualcosa: dignità, misura, autorevolezza. E io non sono mai stata disposta a farlo. Preferisco essere il giusto connubio tra la credibilità dell’informazione, l’autorevolezza che richiede il mio ruolo e, allo stesso tempo, la leggerezza e il linguaggio moderno necessari per parlare alle nuove generazioni. È una scelta meno facile, certamente. Ma è quella che mi fa sentire autentica, solida e coerente in tutto ciò che porto al pubblico in TV e sui social.”

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