Dalla ragazzina ribelle alla madre delle vittime invisibili: un’artista che semina cultura dove gli altri guardano solo il guadagno
Daniela Poggi (Savona, 17 ottobre 1954) è un’attrice, conduttrice televisiva, regista e attivista italiana con una carriera di oltre 45 anni. Ambasciatrice UNICEF dal 2001, fondatrice di Bottega Poggi (impresa sociale per la diffusione della cultura), testimonial per cause sociali tra cui l’Alzheimer e i diritti degli animali. Attualmente è impegnata in teatro con lo spettacolo “Figlio, non sei più giglio” sul tema del femminicidio.
Hai raccontato di avere avuto qualche piccolo problema durante le scuole elementari gestite da suore. Come quella ragazzina ribelle è diventata l’artista elegante e impegnata che conosciamo oggi?
“Già da bambina ero una bambina che voleva dire la sua, che faceva fatica a chinare la testa, ad assoggettarsi al pensiero altrui se quel pensiero non era condiviso con il mio. Perlomeno cercavo delle ragioni, ero una che faceva sempre molte domande e cercavo sempre delle risposte. Non sono mai stata una che si è fatta scivolare la vita, gli eventi, le persone, gli incontri addosso. Tutta la mia vita è sempre stata con un impatto molto viscerale, ogni cosa per me aveva un’importanza enorme: il rapporto con le amichette a scuola, la discussione con la preside, partecipare al Miss Reginette dei vari stabilimenti balneari, piuttosto che alla recita in collegio che mi ha fatto debuttare all’età di 15 anni in questo ruolo importante di Andromaca in lingua francese, dove ho fatto piangere tutta questa platea che conveniva da varie parti dell’Europa perché era un convegno, un congresso del nostro collegio, delle nostre suore, del nostro ordine religioso. Quindi ci sono sempre andata dentro molto forte. Stranamente la mia parte emotiva è completamente diversa dalla mia fisica esterna. Per tanti rappresento la nordica un po’ algida, un po’ distaccata, questa severità, ma anche un po’ di distacco, di diversità perché non sono caciarona, sono un po’ sulle mie. Preferisco capire chi ho davanti prima, osservarlo bene e poi eventualmente darmi, “concedermi” tra virgolette.“
Lo percepisci ancora questo?
“Sì, lo percepisco molto e mi rendo conto che la mia nordicità, il mio essere nordica, mi ha fatto stare un po’ scomodamente qua, un po’ perché sono ligure, friulana, toscana… Insomma comunque popoli che non hanno questo impatto emotivo verso gli altri. Però lo ritengo molto più veritiero, perché mentre nel sud ti abbracciano e poi magari non interessi più – almeno lì per il momento se ci sei va bene e poi basta – per ciò che riguarda me e la mia vita, nel momento stesso in cui tu entri a far parte della mia vita, ci resterai per sempre, fino a che magari non succede qualcosa che ci divide. Però se tu entri a far parte del mio pensiero quotidiano, ci resti.”
Il cerchio della fiducia?
“Sì, con tutto l’amore possibile. Quindi tutto questo bagaglio, le mie radici, la mia educazione, il collegio, l’aver fatto la G.E.B. e il Club Med, le esperienze già da ragazza libera, pensante e anche reattiva di fronte a tutto, mi ha portato chiaramente ad avere un peso più forte, un peso più deciso nel mio lavoro. Insomma è tutto un bagaglio che oggi io mi porto dietro e poi nei miei personaggi che vado a interpretare, che magari sono diversi da quando ho iniziato con la commedia brillante, perché erano personaggi che richiedevano maggiormente una parte fisica più che mentale. Però poi appunto c’è stato un cambiamento, c’è stata un’evoluzione, c’è stato un voler voltare pagina e iniziare un cammino diverso.”
Nel 1978 debutti a teatro. Quanto è difficile, per una donna nel mondo dello spettacolo, gestire la narrazione pubblica della propria vita privata?
“Insomma dipende molto da come sei. Io ho avuto una vita privata della quale poco si sa, tante storie vissute non le ho mai raccontate. Si sa, le storie che sono venute fuori sono quelle poi sulle quali sono stati fatti i servizi fotografici, quindi con Livio, con il mio ex marito e poi ultimamente con l’ultimo compagno. Però ho sempre gestito la mia vita privata molto silenziosamente.”
Sei riuscita quindi a mantenere i due aspetti completamente separati e indipendenti, senza che mai si incrociassero fra di loro?
“Ma inevitabilmente si incrociano in quanto comunque quando sei un’attrice e quando sei un personaggio, sei un nome e soprattutto se in quel momento sei un po’ in auge – vedi quando facevo Incantesimo, piuttosto che Chi l’ha visto – è chiaro che diventa sempre “il compagno di” o “il marito di”. È normale che poi si venga a sapere, però la tua vita, le tue cose le tieni privatamente, a meno che non voglia fare scoop su scoop di tutta la tua vita. E non ci interessa questo. A me non è mai interessato. “
Nel 2021 hai fondato “Bottega Poggi”, una S.r.l.s. impresa sociale iscritta al terzo settore. In un’intervista a FSNews (maggio 2023) hai affermato di voler “gettare semi di sapere e conoscenza tra i giovani”. Perché hai sentito l’urgenza di creare questo progetto e soprattutto visto i temi che trattate come “immigrazione, allevamenti intensivi, Alzheimer, deforestazione”, come si concilia il fare arte commerciale con temi così poco commerciali?
“Bottega Poggi nasce perché io avevo già fondato un’associazione culturale anni prima, poi l’avevo lasciata un po’ morire, andare per la sua strada. Poi mi sono resa conto che ero un po’ stanca di stare sempre ad aspettare che qualcuno mi chiamasse per fare qualcosa e che era molto complicato portare in scena le tematiche che volevo io, che già avevo iniziato a fare però, perché per esempio nel 2008 portai “Io madre di mia madre” sull’Alzheimer, nel 2007 invece ho fatto il primo recital sull’immigrazione. Quindi mi sembrava importante che la mia figura, la mia persona si dedicasse non solo a quelle opere che dall’esterno mi chiamavano per parteciparvi, ma che potevano essere nate proprio da me, dal mio voler portare avanti determinate tematiche sociali a me molto care. L’Alzheimer è in virtù di mia mamma, il mio libro “Ricordami” è uscito il 15 aprile del 2021, e in occasione dell’uscita del libro ho fatto un tour book con il libro e ho conosciuto Walter Sandri.
Abbiamo parlato, lui è un ottimo amministratore perché viene dall’imprenditoria, un ex ingegnere – cioè è sempre ingegnere anche se adesso è in pensione – e gli ho proposto: “Ma te la sentiresti di aprire una società con me dove gestisci tu la parte amministrativa perché io sono negata e io invece farei la parte creativa?” E così è nata Bottega Poggi. Il voler dare un contributo ai giovani e anche magari là dove tanta arte non arriva, tante proposte culturali non arrivano, è un po’ una mission che io mi sono data già tanti anni addietro, nel senso che ritengo che dato che noi siamo dei privilegiati – se siamo riusciti comunque a fare il nostro lavoro, a diventare tra virgolette qualcuno, chi più chi meno – si ha un dovere assoluto che è quello di portare la propria arte e la propria comunicazione anche là dove non c’è.
Per me è appunto portare avanti dei temi che sono assolutamente per nulla commerciali, ma che sono assolutamente indispensabili per la crescita di un essere umano. Le difficoltà sono tantissime, soprattutto per recuperare fondi, perché se riesci con il tuo spettacolo, con la tematica che vuoi portare, riesci ad arrivare ai vertici politici, economici, aziendali, di potere, sennò è complicatissimo. La nostra è una società che si basa sulle nostre forze: la proposta viene accettata, la vendiamo, con il ricavato ci autofinanziamo e possiamo pensare di portare avanti dei progetti.
Tutta la società ormai vive solo ed esclusivamente di un ritorno economico, di un guadagno, di uno sfruttamento del progetto per guadagnare anche più di quanto sarebbe necessario e c’è solo quella visione, la visione di “quanto porto a casa”, “se faccio questo quanto mi porto a casa”, “quanto guadagno da questo progetto”. Non c’è quella visione ampia, lungimirante, anche da statista. Se tu non dai la possibilità a questi ragazzi, a questi giovani, di formarsi il pensiero, formarsi una coscienza, aiutarli a porre lo sguardo, un altro tipo di sguardo, dargli un altro punto di vista, tu avrai sempre una società che è soggetta al più forte e sarà sempre una società sottomessa e mai una società indipendente e autonoma.
Questo è quello che ho capito di voler essere nella mia vita, già quando ero bambina, già quando ero in collegio. Questo è il fil rouge che mi ha portato avanti fino a qui. Poi magari in questi giorni dopo che vai in giro, fai questo, porti lo spettacolo, parli, interviste, magari arrivi a un certo punto che dici “ma anche basta, ma che andassero tutti per la loro strada”.
Stai portando in scena “Figlio, non sei più giglio” della regista e scrittrice Stefania Porrino con Mariella Nava, dove interpreti la madre di un femminicida. In un’intervista a Dietro la Notizia (novembre 2024) hai spiegato che questa donna “è lei stessa una vittima, in quanto ha generato un figlio che è diventato un mostro.” Cosa ti ha attratto di questo ruolo così complesso?
“Allora, personalmente, anche se non ho figli miei biologici, sono sempre stata molto madre, in tutto e per tutto. Quindi dai figli dei miei compagni a figli esterni, a figli del mio collaboratore domestico, alla mia figlioccia. Quindi ho un senso di capacità di generare un atteggiamento molto materno che mi porta a entrare molto facilmente nella vita degli altri. Poi ho uno spirito di osservazione, guardo molto gli occhi, i gesti, le persone, come si muovono, l’esterno, che cosa succede. Credo che sia un mio dono quella capacità di entrare in empatia con il dolore altrui, qualunque esso sia, dal peggiore, dal più grave al più leggero, al più semplice. Però il peso del mondo, tutto quello che avviene nel mondo, l’ho sempre sentito molto mio, fa parte di me.
Diciamo che anche l’esperienza che ho vissuto con l’UNICEF dal 2000, che mi ha portata in Africa, mi sono resa conto del senso della maternità di queste donne, che vengono messe incinte molto facilmente, perché l’uomo sta fuori, beve, mentre le donne stanno nei campi, lavorano, stanno tutte insieme. Vedevo questi occhi tristi di queste donne, perché sono una grande osservatrice, cerco di capire che cosa succede in quella vita e perché magari quella persona ha un atteggiamento piuttosto che un’altro.
Oltretutto sono anche molto curiosa, se io inizio a parlare con te e noi usciamo, sono capace di farti miliardi di domande, magari anche le più intime, perché ho bisogno di capire chi sei, che cosa fai, ma non per un senso di curiosità ma soltanto perché io sono così, voglio sapere. Quindi come persona che sa amare, come cristiana che prega, ho riposto molto lo sguardo sul dolore di Maria, la Vergine Madre, che ai piedi della croce vede la cosa che è impensabile immaginare: che una donna che ha partorito un figlio, l’ha allattato, l’ha generato, possa sopravvivere al dolore di vedere quello che stavano facendo a suo figlio Gesù.
Quindi per me la trasposizione è stata identica: lei ha partorito un figlio che uccide, ma se tu sei madre e partorisci un figlio e lo ami come è solo una madre sa amare il figlio maschio e poi ti accorgi che quello stesso figlio uccide una donna, che è una donna come te, come lo vivi? Che cosa c’è? Che cosa sta succedendo? Quell’uomo ha voluto uccidere te come madre.
Queste sono tematiche per me molto forti, molto importanti e quindi mi ci sono buttata, ne ho parlato con l’autrice, le ho detto quello che volevo portare in scena come Daniela Poggi, come interprete, che non volevo soltanto raccontare la vittima perché tanti spettacoli erano già stati fatti proprio sulla vittima, ma qui parliamo di un’altra vittima, che è una vittima nell’anima, quindi è una morte diversa.
La morte dell’anima è una donna che muore completamente anche se il suo corpo continua a vivere, perché penso che sopravvivere al sapere di aver messo al mondo un uomo che è riuscito a dare 72 coltellate, penso che sei morto dentro, ti manca soltanto il suicidio oppure la forza, la preghiera di dedicarsi a Dio e chiedere aiuto a Dio di superare tutto questo, di andare avanti, pur mantenendo dentro di te la morte continua, perché è inevitabile.
Quindi tutto questo è stato il mio bagaglio, poi lavorando sul testo parola per parola abbiamo scelto le parole adeguate, i concetti, i vari temi da toccare all’interno: il ricordo, la violenza sulla lucertola, lo sguardo, l’incapacità di comunicare, l’istigazione sui social, lei che si ricorda quando era incinta, lei che ricorda la sua gelosia nei suoi confronti e la gelosia nei confronti del marito, il tradimento del marito, cioè tante cose che fanno parte della nostra vita, del nostro vissuto.
E quindi alla fine la mia Maria è una Maria bella, è un personaggio forte, fortissimo, di impatto potente, emotivo, sicuramente scomodo agli occhi dello spettatore, perché vai a scardinare certezze materne e chi l’ha visto rimane scioccato, perché nessuno, nessuno mai si è posto in questa ottica. Cioè parliamo del carnefice, parliamo della vittima, parliamo della madre della vittima e del padre ma non parliamo mai di chi è che ha generato il carnefice.”
Hai dichiarato più volte che “se non credessi nei giovani non avrebbe senso la mia vita.” Quale consiglio daresti a una giovane donna che oggi vuole intraprendere la carriera artistica?
“Allora io posso soltanto consigliare di crescere interiormente, di porsi tante domande sempre, di porsi tanti dubbi, di essere curiosa, di essere osservatrice, di vivere la vita nella vita, non farsela scivolare addosso, cercare la propria autonomia e la propria indipendenza economica, il farsi valere non con la prepotenza ma con la conoscenza e con la consapevolezza. Quindi leggere, informarsi, stare nel tempo, stare sicuramente nel qui e ora ma con una visione anche a 360 gradi. Quindi non basare la propria vita sulla bellezza, sull’estetica e basta perché se c’è una bellezza vera, quella esterna, è perché c’è inevitabilmente una bellezza in te. Altrimenti quella bellezza esterna svanisce subito e quella bellezza interiore è la nostra anima, è il nostro pensiero, è come ti poni nei confronti della vita degli altri e di te stessa. Quindi amarsi, volersi bene, rispettarsi, consegnare a noi stesse il nostro valore, renderci conto anche dei nostri limiti, delle nostre fragilità, guardarsi allo specchio ma non per dire “mamma mia sono brutta, devo rifarmi questo, quello, quest’altro”, ma avere il coraggio di guardarci negli occhi e dirci la verità. E su questo camminare, camminare sempre però con uno sguardo di luce, uno sguardo di amore, uno sguardo di rispetto e mantenere gentilezza, gentilezza verso noi stesse, gentilezza verso gli altri. E credo che il vivere l’arte per esempio, quindi la lettura, la pittura, la danza, il cinema, l’ascolto della buona musica, visitare le mostre, siano veramente il nostro bagaglio, la nostra risorsa di conoscenza. E non perdersi mai d’animo perché c’è sempre una porta che si può aprire e soprattutto poi unirsi, essere unite e non dividerci. Noi donne secondo me dobbiamo essere meno protagoniste e più solidali.”
Link utili:
- Profilo ufficiale instagram: https://www.instagram.com/daniela_poggi_official/
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- Sito Web: https://www.bottegapoggi.com/

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